Quando i cinquant’anni sono stati raggiunti e superati con la velocità del suono di una sirena arrabbiata, tre sono le possibilità che rimangono all’uomo che non vuole rimanere ad attendere l’impatto indifeso e inconsapevole: farsi l’amante, farsi una macchina rossa, scrivere un blog. Dato che mi state leggendo (davvero? Mi state davvero leggendo?) avete compreso che ho scartato le prime due ipotesi. E per scelta volontaria e creduta, non certo forzata.

Ma che cosa e perché scrivere? Condividere, o l’illusione di farlo, aiuta spesso a sentirsi in compagnia di fronte alla piccole battaglie della vita: quelle grandi, si sa, le si può affrontare solo in compagnia di se stessi, senza nessuno scudiero o cavaliere al proprio fianco.

La prima delle sfide e quella che affettuosamente potremmo definire di san Giuseppe, che di fatto nomino mio speciale e personale protettore confidando sulla sua ironia e bonomia. In che cosa consiste questa sindrome? Nel sentirsi ovviamente il più imperfetto della famiglia dovendone invece apparire la guida salda. Non che con questo voglia affidarmi a una melliflua umiltà fasulla, l’autocompiacimento di sentirsi negare la denigrazione e gustare così una vanitosa ricompensa per la propria maliziosa modestia. Affatto. Lauto compiacimento può derivare solo dalla concretezza. Non che non sia vanitoso, tutt’altro: la vanità è sempre in agguato, come ben sa il diavolo impersonato da Al Pacino nel mondo degli avvocati.
Gli è che essendo proprio vanitoso e anche intelligente, so bene che l’ambizioso deve attingere a piene mani all’umiltà: per crescere, ambizione che può essere anche nobile e saggia, bisogna capire dove migliorare. E per capirlo non c’è che l’umiltà.
L’ambizioso vanesio e superbo farà una brutta e rapida fine.

Quindi qui sto: con una moglie tendente alla perfezione, pur con difetti marginali che provocano in me tanto irritazioni quanto ammirazione per la loro trascurabile banalità; con tre figli che, come recitano brutti film, hanno preso maggiormente da me i difetti, e quindi non posso accusarli di una eredità che ho trasmesso loro; con un lavoro che amo e che ogni mese mi sfida sempre di più, aiutandomi a non fare mai mia la sicurezza.
Di che scrivere dunque?

Della precarietà, della inadeguatezza che mi rende comico a me stesso, specchio delle cose che ho appreso e che rivedo, con squarciante veridicità, nel mio quotidiano.

sabato 2 maggio 2015

Bamboccioni! Anzi no: schiavi delle multinazionali!






Schizofrenia.
Sindrome dissociativa.
Con isteria.
Non so quanto consapevole. Da un certo punto di vista spero non lo sia.
Spero sia inconsapevole. Spero sia frutto di totale obnubilamento.
Perché vivere così è difficile, vivere nella menzogna. Vivere in totale disconnessione con le realtà. Vivere imprigionati in una galleria degli specchi, tutti deformi, che ti fanno vedere solo quello che vuoi vedere, che la tua mente proietta, che distorce il vero.
Lo so è un mio pallino, lo so: sono come un martello per cui tutto è chiodi, chiodi da ribattere, chiodi da picchiare dentro ad un muro..
Forse sono anche io malato: monomaniaco.
Oppure sono Cassandra. Costretto a vedere senza essere capito.
C’è che vedo: vedo questo meccanismo con cui i falsi miti vengono a galla, vengono assorbiti per osmosi, vengono stesi come una vernice, come pellicola che soffoca, che spegne la ragione.
Un continuo assedio alla logica.
Prendi questa vicenda, marginale magari, ma molto istruttiva –e a me interessa questo: spiegare i meccanismi per difendersi, per  svelare gli inganni, perché abbiamo bisogno di bambini che gridino “il re è nudo”, che ci riportino alla realtà, che smontino le costruzioni demoniache per rifarci vedere le stelle, per risvegliare il de-siderio come spiega  Nembrini- prendi questa vicenda dei bamboccioni di Expo e capisci come sia possibile intessere una serie impressionante di menzogne e trucchi e mistificazioni in due notizie e l’effetto che fa.
Prendi questa perché in apparenza è lontana da ciò che ci sta più a cuore. E invece no, perché se nella banalità, se nella leggerezza si distorce, allora tutti siamo in pericolo constante.
Ne discende che abbiamo proprio bisogno di capire i meccanismi con cui i media lavorano, ci serve per difenderci e aiutare gli altri a comprendere.
Seguitemi che ne vale la pena.
Dunque: su un “prestigioso quotidiano nazionale” (si dice così no?) esce una paginata sul tema “i giovani ed Expo”, seguita da equivalente articolo on-line con grande risalto. Obiettivo: sostenere la tesi che questi giovani sono choosie (quanto disprezzo in questa parola eh?) e fannulloni.
Il che in sé può avere un certo senso, che basta guardarsi in giro per capire che questo non è un problema da trascurare, ma da prendere seriamente in conto.
Quindi varrebbe la pena cercarne la radice. Eh, ma non si fa, perché è la medesima dei falsi miti: è la voglia di avere tutti, il diritto di avere tutto senza fare nulla. E questo non lo si può dire che verrebbe giù lo scenario di cartapesta costruito per far credere che libertà non sia fare la verità, ma fare quello che ho voglia: si scrive “segui il tuo cuore” e si legge “segui i tuoi ormoni, quali che siano”.
Quindi non è ben chiaro che cosa ci guadagnino a voler denigrare una generazione facendole fare la figura degli invertebrati. Ma il tono dell’articolo è questo fin dal titolo, che metto tra virgolette per staccarlo dal mio testo, ma che non assicuro sia letterale, diciamo che il senso è questo: “80% dei giovani rifiutano lavori da 1300-1700 € perché si lavora anche nei festivi”.
Monta l’onda: questi giovani bambocciosi, imbambagiti, derisi e catalogati, condannati senza ricercare né cause né attenuanti, reagiscono.
Ne viene fuori un quadro diverso, dove la figuraccia la fanno, nell’ordine, il giornalista e l’agenzia che intendeva reclutare i giovani.

Perché intanto pare che
a) le cifre citate siano lorde,
b) che quelli che hanno rifiutato in massa,  per ragioni le più disparate non ultimo che sono stati avvisati poche ore prima dell’articolo e hanno trovato altro nel frattempo, sono quelli che vengono definiti stagisti (stagisti? Ed Expo? Ma non dovrebbe essere un passaggio per imparare un mestiere? E qui quale mestiere impari? Quello dello schiavo?) per i quali era previsto un rimborso spese (lordo?) di 500 € mese,
c) che l’agenzia non l’abbia raccontata proprio così o proprio giusta.

Ora, o abiti dentro Expo o quei 500 € quasi quasi non ti bastano neanche per i trasporti (biglietto giornaliero 4,50 €, nessuna convenzione con l’agenzia: fa 135 € per 30 giorni di lavoro, poi c’è il vitto, l’alloggio per chi non abita a Milano e molti dei selezionati vengono da altre regioni dice l’articolo…).

Questo non è un lavoro sottopagato, questo è un hobby abbastanza costoso.

I giovani reagiscono con orgoglio e razionalità: dati alla mano. Infatti ecco il dietrofront: l’agenzia pubblica goccia a goccia i dati e il quotidiano in questione una serie di interviste e contro-articoli che demoliscono la tesi del primo pezzo.
Ma, attenzione, senza mai metterlo in discussione  o scusarsi. Mai. Così, come se la notiziona fuffa l’avesse data un altro periodico.

Che cosa c’è da imparare qui?
Beh intanto che della stampa non ci si può davvero più fidare: o scegli le firme di giornalisti che conosci –oltre a quelli che scrivono qui, ne ho in mente una trentina di persone dal carattere specchiato e dall’onestà conclamata, onestà intellettuale innanzitutto- oppure tutto va messo in discussione, perché qui le fonti non le cerca più nessuno. Quasi più nessuno, absit iniuria verbis, alza più il culo dalla sedia.
Ti nascondi dietro al fatto che ti è arrivata così la notizia, sì ma che cosa ci stai a fare tu? Tutti editorialisti?

Non sarà che quello che i media hanno in mente non è trasmettere notizie ma sostenere una ideologia?
Lo si vede quotidianamente sui temi che questo quotidiano discute con passione, come vengono trattati da altre testate manipolando i fatti, aggettivando con malizia, virgolettando i loro pensieri per attribuirli ad altri con cattiveria, rifiutando sistematicamente la correzione.
Pensi: ma questa è guerra, non è corretto, non è etico, ma per lo meno lo posso comprendere.
Ma sulla vicenda citata? Guerra con chi?

No, il punto è che ormai scatta solo la visione ideologica: questi giovani sono smidollati, non se ne salva uno, guarda qua, non vogliono più lavorare! E giù botte senza neanche provare a informarsi. È la costante manipolazione del reale, deformato dallo schermo della propria ideologia tutto deve conformarsi a questo.
Chessò, fanno un servizio su un istituto pubblico non statale perché ha ottenuto un prestigioso risultato sportivo? Ti trovi il cronista che indaga per sapere quanto ha speso o intrallazzato la scuola per arrivare al quel successo, e che per forza sei una scuola di ricchi e che con i soldi che hai speso sai quante scuole povere e democratiche rimettevi in sesto? Invece avrebbe potuto intervistare allenatori e studenti e genitori per tirarne fuori una di quelle belle storie all’americana dove lo sport aiuta a superare tutto.
Tutto è ideologia e tutto deve essere incastrato dentro ad uno schema precostituito.

Ma non basta: altra lezione. La notizia è effimera, i lettori sono imbecilli che non ricordano. Ho preso un colossale abbaglio, non sento il diritto di scusarmi, di dare una spiegazione. No, basta che rigiro la notizia: prima la tesi era che i giovani di oggi non vogliono fare più fatica (e quindi magari abbiamo bisogno di navigli di immigrati che li facciano) e invece adesso al centro ci sono questi poveri ragazzi che vorrebbero tanto lavorare ma che sono sfruttati, colpa del Jobs act, colpa delle imprese capitaliste cattive a caccia di mandopera schiavizzata.
Rigiri la notizia, cambi focus e il gioco è fatto.
Oppure tutto è opinabile, non esiste realtà: basta mettere “a confronto” opinioni diverse, due voci –che poi non sono mai equilibrate, basta cambiare il carattere, dosare i titoli e sai bene da che parte far pendere la bilancia- che sostengano tesi diverse e tutto è giusto, corretto. Davvero? Non c’è più una verità? Immaginiamo un dibattito tra chi sostiene che 2+2=4 e chi invece dice che 2+2=3 e lasciamo scegliere al lettore?

Ma è così? lettori così imbecilli che non se ne accorgono?

Terzo elemento: l’inconsistenza culturale. Parlavo di schizofrenia. Dissociazione. Sostenere una tesi ideologica senza esaurirla. Senza cercarne le fonti. Vuoi stigmatizzare il fannullismo dei giovani? Può starci dicevo, è un fenomeno vero, crescente, doloroso. Si ricollega davvero ad una visione distorta dell’educazione. Sono frequenti i casi ormai di aziende che segnalano un fatto che ha dell’incredibile: il candidato si presenta al colloquio accompagnato da almeno un genitore che vuole avere voce in capitolo!
Il senso del lavoro è stato smarrito: non è un più percepito come una attività significativa della mia vita che mi permette di sviluppare qualità umane mentre con serietà contribuisco alla costruzione della società, ma è diventato quel doloroso tunnel nel quale devo transitare per poter vivere la mia vita che è fuori da lì.
Bene, e allora non ti chiedi perché si è arrivati qui? Non cerchi di indagare sulla demolizione della educazione che i falsi miti rilanciano? Non provi a capire come la distruzione delle figure genitoriali, del ruolo del padre e della madre, sono la causa prima?
No!
Per te conta solo l’ideologia, la notizia. Non ti fai neanche più domande. Non cerchi di capire, non cerchi di trovare il perché, non vuoi farlo. Troppa fatica e poi magari si rischia di dare ragione a chi indica la verità, a chi combatte questi falsi miti.


E una società che abbia perso il gusto della domanda è una società sazia e impazzita destinata all’estinzione in tempi brevi.

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