Quando i cinquant’anni sono stati raggiunti e superati con la velocità del suono di una sirena arrabbiata, tre sono le possibilità che rimangono all’uomo che non vuole rimanere ad attendere l’impatto indifeso e inconsapevole: farsi l’amante, farsi una macchina rossa, scrivere un blog. Dato che mi state leggendo (davvero? Mi state davvero leggendo?) avete compreso che ho scartato le prime due ipotesi. E per scelta volontaria e creduta, non certo forzata.

Ma che cosa e perché scrivere? Condividere, o l’illusione di farlo, aiuta spesso a sentirsi in compagnia di fronte alla piccole battaglie della vita: quelle grandi, si sa, le si può affrontare solo in compagnia di se stessi, senza nessuno scudiero o cavaliere al proprio fianco.

La prima delle sfide e quella che affettuosamente potremmo definire di san Giuseppe, che di fatto nomino mio speciale e personale protettore confidando sulla sua ironia e bonomia. In che cosa consiste questa sindrome? Nel sentirsi ovviamente il più imperfetto della famiglia dovendone invece apparire la guida salda. Non che con questo voglia affidarmi a una melliflua umiltà fasulla, l’autocompiacimento di sentirsi negare la denigrazione e gustare così una vanitosa ricompensa per la propria maliziosa modestia. Affatto. Lauto compiacimento può derivare solo dalla concretezza. Non che non sia vanitoso, tutt’altro: la vanità è sempre in agguato, come ben sa il diavolo impersonato da Al Pacino nel mondo degli avvocati.
Gli è che essendo proprio vanitoso e anche intelligente, so bene che l’ambizioso deve attingere a piene mani all’umiltà: per crescere, ambizione che può essere anche nobile e saggia, bisogna capire dove migliorare. E per capirlo non c’è che l’umiltà.
L’ambizioso vanesio e superbo farà una brutta e rapida fine.

Quindi qui sto: con una moglie tendente alla perfezione, pur con difetti marginali che provocano in me tanto irritazioni quanto ammirazione per la loro trascurabile banalità; con tre figli che, come recitano brutti film, hanno preso maggiormente da me i difetti, e quindi non posso accusarli di una eredità che ho trasmesso loro; con un lavoro che amo e che ogni mese mi sfida sempre di più, aiutandomi a non fare mai mia la sicurezza.
Di che scrivere dunque?

Della precarietà, della inadeguatezza che mi rende comico a me stesso, specchio delle cose che ho appreso e che rivedo, con squarciante veridicità, nel mio quotidiano.

domenica 17 marzo 2013

Logica l'è morta gridiamo a tutta forza




Ci siamo giocati da tempo l’ortografia, grammatica e consecutio ci hanno lasciato anche loro, e la logica sta tirando le cuoia. Poi non resterà che la pancia. Per giunta vuota. Ma che sorride: perché vuoi mettere come si sta meglio quando la pancia sorride grazie ad uno yogurt? 

Se la rete è specchio della società, e del meglio di questa 
– almeno così afferma l’equazione di stile Zuckenberghiano che afferma che  progresso e cultura siano determinati dall'uso di Internet, che peraltro oso mettere in discussione- siamo messi molto male. 

Sebbene alcuni cavalcano la tigre delle fallacie logiche applicando con rigore una critica del sillogismo a tutto ciò che non aggrada loro, ciò che mi preoccupa di più è la scomparsa della capacità di riflettere. E mai termine fu mai più adatto poiché spesso non ci si rende conto di negare nel proprio assunto ciò che si sta affermando. E se invece esiste consapevolezza, allora siamo in presenza di malafede. 

Turba perciò, prima la logica e l’estetica che l’etica stessa, leggere affermazioni quali “quelli che odiano e che predicano la violenza non sono degni di vivere: li metterei al muro”, che potrebbero far sorridere solo se fossero un ironico tentativo di commettere suicidio. E che ricordano, ma senza la sagacia e la provocazione, le vecchie affermazioni paradossali come "Afferma Tullio il cretese che tutti i cretesi mentono". 

Eppure queste follie razionali si moltiplicano, specie in questo post atomico elettorale. Che i delusi del voto tendano non solo ad indignarsi contro tutti coloro che non hanno seguito le loro indicazioni, così intelligenti, posso solo comprenderlo, anche se mi sembra lo fogo di una frustrazione che ha radici in una presunta superiorità antropologica.
Ma che lo facciano negando le basi del ragionamento sillogistico,  provoca pericolosi sussulti anche a me oltre che al buon Aristotele.

Ecco alcuni esempi per i quali non è importante il contenuto, ma solo la struttura del pensiero, che si auto-nega, mostrando solo una profonda ignoranza pari alla presunzione e alla arroganza di chi vuole costringere schiaffeggiando gli altri. Ti picchio e poi ti accuso di volermi picchiare insomma.

Capita così di sentirsi apostrofare che “Dio non esiste, e se anche esistesse non sarebbe certo quello che tu affermi”, affermazione peraltro legittima (e liberamente ispirata da fatti veramente accadutimi in rete) am anche un po' apodittica e perentortia, 
Anche questi aggettivi leciti, non fosse che all’incauto che ribadisce le proprie posizione, si replica con perentorietà: “io dialogo con tutti i cattolici tranne quelli ottusi che pretendono di avere la verità”.  Frase che decodificata vuol dire che dialogo con tutti quei cattolici che  sono così pavidi e annacquati da non avere il coraggio di difendere il core message del fondatore: “io sono la via, la verità e la vita”, fuori da me non c’è verità.

Peraltro chiunque fa una affermazione, fosse anche 2+2=4 o mi piace la pasta al pomodoro generalmente tende a possedere quella verità, e se afferma qualche cosa che imponga e si basi su una fede dovrebbe appunto crederci, quindi presumere di avere la verità vera in mano.

Altrimenti potrebbe fare sua quella famosa battuta di Woody Allen
Credo in Dio? Non proprio. Diciamo che lo stimo”.

Ma non son qui per parlare di fede, quanto per mostrare terrorizzato stupore per questa continua dissacrante incapacità di superare il luogo comune, la frase ben detta, per coglierne –forse spremerne- il senso. Così provo sdegno e angoscia di fronte a chi per ragioni politiche twitta “non solo le loro idee a farmi paura, ma le facce di chi le rappresenta”, che potrebbe essere una arguta affermazione, non fosse che chi l’ha rilanciata si dichiara cattolico, cioè fedele di quella religione che suole affermare che bisogna perseguire l’errore e non l’errante, che Cristo ha sparso il proprio sangue per tutti –belli e brutti,  eleganti e cafoni- e che non ci è consentito giudicare persone ma solo fatti. Vale a dire che quindi dovremmo affermare “non mi spaventano le loro facce, dato che devo amare ciascuno come fratellio, quanto aborro le idee che proclamano”.

Invito caldamente quindi ad un rinnovato impegno in difesa delle regole di base della lingua, della grammatica, della logica. Temo peraltro che quel terrore  che si spalancava negli occhi fumiganti di Nanni Moretti quando schiaffeggiava la giornalista sciacquetta in Palombella Rossa fosse giustificato. “Le parole sono importanti” urlava, poiché è con esse che formuliamo i pensieri. L’aver sfarinato la lingua, sostituendola con il linguaggio di quelli che definiscono –absit injuria verbis- bimbiminkia kostruito kn sigle abrvzn tvtb disegnini <3 e minacce kk kzz vuoi? abbia finito per ridurci a bruti incapaci di seguir virtude e conoscenza?

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