Quando i cinquant’anni sono stati raggiunti e superati con la velocità del suono di una sirena arrabbiata, tre sono le possibilità che rimangono all’uomo che non vuole rimanere ad attendere l’impatto indifeso e inconsapevole: farsi l’amante, farsi una macchina rossa, scrivere un blog. Dato che mi state leggendo (davvero? Mi state davvero leggendo?) avete compreso che ho scartato le prime due ipotesi. E per scelta volontaria e creduta, non certo forzata.

Ma che cosa e perché scrivere? Condividere, o l’illusione di farlo, aiuta spesso a sentirsi in compagnia di fronte alla piccole battaglie della vita: quelle grandi, si sa, le si può affrontare solo in compagnia di se stessi, senza nessuno scudiero o cavaliere al proprio fianco.

La prima delle sfide e quella che affettuosamente potremmo definire di san Giuseppe, che di fatto nomino mio speciale e personale protettore confidando sulla sua ironia e bonomia. In che cosa consiste questa sindrome? Nel sentirsi ovviamente il più imperfetto della famiglia dovendone invece apparire la guida salda. Non che con questo voglia affidarmi a una melliflua umiltà fasulla, l’autocompiacimento di sentirsi negare la denigrazione e gustare così una vanitosa ricompensa per la propria maliziosa modestia. Affatto. Lauto compiacimento può derivare solo dalla concretezza. Non che non sia vanitoso, tutt’altro: la vanità è sempre in agguato, come ben sa il diavolo impersonato da Al Pacino nel mondo degli avvocati.
Gli è che essendo proprio vanitoso e anche intelligente, so bene che l’ambizioso deve attingere a piene mani all’umiltà: per crescere, ambizione che può essere anche nobile e saggia, bisogna capire dove migliorare. E per capirlo non c’è che l’umiltà.
L’ambizioso vanesio e superbo farà una brutta e rapida fine.

Quindi qui sto: con una moglie tendente alla perfezione, pur con difetti marginali che provocano in me tanto irritazioni quanto ammirazione per la loro trascurabile banalità; con tre figli che, come recitano brutti film, hanno preso maggiormente da me i difetti, e quindi non posso accusarli di una eredità che ho trasmesso loro; con un lavoro che amo e che ogni mese mi sfida sempre di più, aiutandomi a non fare mai mia la sicurezza.
Di che scrivere dunque?

Della precarietà, della inadeguatezza che mi rende comico a me stesso, specchio delle cose che ho appreso e che rivedo, con squarciante veridicità, nel mio quotidiano.

martedì 26 marzo 2013

Contro il commento di scambio



Lo so: farò male. Nel doppio senso che sbaglierò e ferirò. Ma ci vuole, perché anche con orgoglio, ma voglio chiarire, distinguere. Perché so che cosa sono, che cosa voglio. Ho l’animo ben squadrato.

È successo che ho ripubblicato la mia avvelenata, lo sfogo contro me stesso più che contro il mondo, la di a leggere i segnali che mi vengono regalati tra le righe per crescere.
Uno dei punti era sui commenti ai blog. E ha prodotto questo interessante scambio che uso come strumento per raccontare come la vedo.
In corsivo i commenti ricevuti da una persona cara e attenta e gentile, per distinguerli dalle mie parole.


Chi ha tanti commenti è perché, a sua volta, ne lascia tanti in giro.La pubblicità è l'anima del commercio, lo sai. Se non ti fai conoscere, nessuno sa che scrivi su queste pagine e, se non ricambi i commenti, i blogger smettono di farlo anche con te. Regola dell' "Occhio per occhio, dente per dente!" Dopo nove anni che sono sul blog, almeno questo l'ho capito.

C'è un altro modo per vedere questo argomento. Onestamente di commenti così, come contraccambio, perché ci si faccia coraggio a vicenda, non me ne faccio nulla. Sono scambi di cortesia. Non mi interessano. Non mi interessa girovagare per blog che raccontano vicende personali come il mio, disseminare commenti per averne in contraccambio. Occhio per occhio dici? Non mi interessa.
Non cerco il "ciao, come sei bravi, che belle cose scrivi" perchè così poi vado a leggere e commentare il suo blog. Leggo i blog che mi interessano, che mi danno qualche cosa. Che mi fanno sognare. Che raccontano storie che mi piacciono. Non ho tempo da perdere per lasciare commenti in diari che farebbero meglio a restare nel cassetto per averne in contraccambio un click in più, un commento in più.
Non cerco questo. E non è così che secondo me trovi visibilità.
A essere sincero con questo blog, che è davvero un diario personale, e che conta circa 70-80 contatti a post... va bene così. Questa è la mia valvola di sfogo.
I commenti mi interessano sul blog professionale, quello del marketing ad esempio, di di contatti nel fa 15.000 al mese, che vuol dire oltre 800 a post (che faccio? visito 800 blog, ammesso che ce li abbiano per dire "grazie, che bel blog!"?). Quello che promuovo con Twitter, FB, e altri mezzi. Quello che propone idee professionali e chiede pareri.
Lì avrei piacere ad avere commenti.
Perché quello è valore aggiunto: l'occhio per occhio dente per dente lì non conta.
Lì conta la voglia di dire la propria. Di dare un contributo.


I blog professionali sono una cosa diversa. Sono utili, pertanto sono letti da molti, che possono trarne insegnamento.
I blog "diari" sono visti invece come salotti personali dove si ricevono gli amici. Oggi da me, domani da te, come si fa nella vita reale. Io ho notato che, quando ho smesso di frequentare alcuni blog, semplicemente perchè non sapevo cosa commentare, i loro proprietari non sono più venuti da me e ricordo anche di aver letto qui qualche lamentela di blogger che si sentivano "abbandonati" perchè commentavano sempre da te e tu mai da loro.
Mi è capitato anche di conoscere realmente una blogger, che è venuta a trovarmi a casa mia. Mi ha poi invitata a casa sua, ma nel frattempo mio padre si è ammalato, mia madre ha contratto l'Alzheimer ed io non sono più stata libera. L'ho invitata altre volte, spiegando che mi è difficile muovermi ed in fondo non è importante che ogni visita sia contraccambiata, ma lei sembra essersela presa e non è mai più venuta, pur continuando ad invitarmi a casa sua.Nemmeno sul mio blog commenta più, anche se magari lo legge.
Insomma, questa è l'esperienza che ho avuto io e te ne ho reso partecipe, poi puoi prenderla come vuoi. Non sempre i casi sono uguali.

Il tuo approfondimento non fa che
confermi nella mia risoluzione. Gli amici me li scelgo con cura e con affetto e non per scambio merci
o commento di scambio. Non scrivo per raccontare della gita al mare con le amiche o di come mi sento
triste perché mi hanno maltrattato al lavoro, se mi è scappato il cane o se ho litigato con la moglie. Trovo anche un po' sconcertanti questi diari pubblici, così pieni 
di solitudine e di povertà interiore: questo mettere in mezzo alla piazza, anche in forma anonima, soprattutto
le proprie ombre come se così le si esorcizzasse. 
Non è quello che, credo, faccio: a me piace scrivere, non condividere un diario. Io scrivo perché ho la presunzione,
la medesima di ogni scrittore, di stimolare il pensiero, di pungolare l'anima, di indurre alla riflessione e all'emotività.
E a questa ne aggiungo un'altra: quella di scrivere bene. 
I modelli a cui mi ispiro sono i blog di Costanza Miriano (10.000 visite al giorno) di Claudia de Lillo (forse anche di più)
quelli dove chi scrive condividerà anche pensieri intimi e situazioni vere, ma -per dirla con Baricco- con lo sguardo del giovane
Holden, per andare oltre, per indicare la luna. C'è chi si ferma a vedere il dito, va bene, fa parte dei rischi dello scrivere.
Ma non vorrei essere in nessun modo quello che descrive il dito e lo racconta.
Per cui mi spiace se qualcuno si possa sentire tradito perché non ricambio le visite. E la smetta di leggermi.
Meglio così.  Vuol dire che alla fine non era interessato a ciò che scrivevo ma a cercare un po' di compagnia
e quella non posso dargliela. Forse non voglio, ma di sicuro non posso.
Poi peccherò di arroganza? di presunzione? di orgoglio? Può essere, anzi lo è di sicuro.
Pazienza. Correggerò e migliorerò. 
Ma questa è tutta un'altra storia.

venerdì 22 marzo 2013

L'avvelenata




Semel in anno licet insanire scriveva Seneca, e sant’Agostino lo ribadiva (Tolerabile est semel anno insanire, Civ. Dei VI, 10) nel caso non l’avessimo capito.

E allora pazziamo! 

Sediamoci sul trono dell’invettiva per svuotare il catetere dell’anima, con l’afrore di parole stagnanti, di voci sedate troppo a lungo, lanciamo -come Guccini- la nostra Avvelenata, verghiamo come parole aspre e chiocce la mia versione dell’insulto cantato da Fortis, dalla quale è stato tolto il pungiglione, annacquata la tossina, rivolta verso di me la pistola.

Io vi odio d’invidia mamme blogger che venite inseguite da editori famelici che vi strappano dalle mani brani di racconti per farne best seller, mentre ignorano le mie pagine virtuali, calpestandone lo sforzo e l’onore e schizzandomi con il fango sollevato da una vettura sdegnosa che ti passa troppo vicino. Detesto il vostro successo, l’umiltà delle vostre confessioni, la brillantezza dei vostri post. E detesto la mia invidia, che mi deride e trascina come il prigioniero di guerra, sconfitto e umiliato.

Ne ho le tasche piene di tardo adolescenti che sfoggiano fidanzate alla soglia dei cinquanta, quando dovrebbero tenere in braccio nipotini, e danno un esempio volgare e violento a quei giovani intimando loro di non crescere.

Non sopporto più queste donne, ferite da uomini che si son pur scelte, abbandonate da scellerati che non hanno saputo né pre-giudicare né cambiare, devastate da relazioni che hanno subito, quando si lamentano che gli uomini non sanno fare nulla, sono egoisti, e incompetenti e dovrebbero essere educati. Si rivolgano ad altre donne, che li hanno cresciuti bamboccioni, che li hanno affogati di coccole per il terrore di perderli e li hanno poi dispersi nell’aria irresponsabili e vanitosi, immaturi e dipendenti, con lo scopo di tenerli sempre legati a loro, passando sopra le altre donne della loro vita. Sì avete ferite che non meritate, siete state tradite da uomini che non meritano questo appellativo, siete state lasciate a combattere da sole e ad educare figli in affranta solitudine. Non commettete la meschinità maschile di attribuire tutta la colpa all’altro sesso: cercate la vera causa di tutto questo dolore e combattetela insieme ai quei maschi che possono essere chiamati signori.

Non ne posso più di titoli sguaiati di giornali che sanno solo gridare, senza nemmeno capire perché o come, lanciatori di sassi che nascondono subito la mano, rovistatori di immondizie che pretendono di avere mani pulite, costruttori di menzogne purché si ottenga il risultato che vogliono, incapaci di capire non la verità in sé, ma la sua sola esistenza. Mi avete stancato con le vostre polemiche, con la vostra presunzione di denuncia, che si ferma sempre solo dove volete voi senza mai affrontare la radice, perché se alla radice andaste sarebbe il vostro cuore!

Io vi odio disseminatori di odio, promulgatori di una falsa tolleranza che è cancellazione della differenza, omogeneizzazione delle idee, devastazione della speranza, sterminio della libertà. Vi odio perché non sono capace di amarvi, ma ci sto provando, perché quella è l’unica arma che può dissolvere la tenebra che ospitate per ritrovare dietro una mormorosa ombra il sole caldo.

Maledetti voi, che avete successo con onestà e il sudore della fronte che a maledire mascalzoni e farabutti ci pensano già tutti), perché non riuscendo a seguire il vostro esempio e non volendo percorrere altre strade, non posso nemmeno inviarvi e non mi resta che guardarmi dentro e vedere l’abisso della sconfitta, che fa più male di quello che dovrebbe e che mi incatena ad un futuro di lotta.

Guai a voi, che passeggiate vacui per strade e webpage del mondo, senza capire il senso della vita, perché non riesco a pregare per tutti e questa debolezza mi fragilisce ancora di più.

Siate inceneriti voi amici blogger cattolici che con leggerezza tracciate saggezza su strade che a me restano sbarrate e con tre tratti di penna e pochi caratteri spalancate l'abisso dell'animo con tale specchiata lucidità da ammutolire e indurre al pianto commiserato. E attirate stormi di commenti entusiastici (anche quando negano e violentano il pensiero peché ne svelano l'importanza) mentre io per strapparne uno alla rete lo devo sudare. Quanta invidia scatenate dentro questo cuore che soffre di tutte e tre le concupiscenze giovannee.

Bastarde aspirazioni, ed idee e interessi, che mi aggredite non appena volgo il pensiero, e mi costringere a prestarvi ascolto, mi tormentate finché non vi scrivo nel cuore, mi inseguite senza lasciarmi respiro, che ormai o capito che siete voi la mia croce, idee che non diverranno mai realtà, folle scatenate ed urlanti, che mi assaltate come il forno delle grucce, malvissuti sogni, che non mi lasciate mai, perché mi fate toccare con mano la friabilità di questo pensiero, e della mia intera esistenza, quando cerco di dimenticare il fondamento, la roccia solida sulla quale costruire, che sola sa dare pace al cuore.

E su questa roccia ora mi chino a riposare, svuotata la sacca e distillato il cuore.

domenica 17 marzo 2013

Logica l'è morta gridiamo a tutta forza




Ci siamo giocati da tempo l’ortografia, grammatica e consecutio ci hanno lasciato anche loro, e la logica sta tirando le cuoia. Poi non resterà che la pancia. Per giunta vuota. Ma che sorride: perché vuoi mettere come si sta meglio quando la pancia sorride grazie ad uno yogurt? 

Se la rete è specchio della società, e del meglio di questa 
– almeno così afferma l’equazione di stile Zuckenberghiano che afferma che  progresso e cultura siano determinati dall'uso di Internet, che peraltro oso mettere in discussione- siamo messi molto male. 

Sebbene alcuni cavalcano la tigre delle fallacie logiche applicando con rigore una critica del sillogismo a tutto ciò che non aggrada loro, ciò che mi preoccupa di più è la scomparsa della capacità di riflettere. E mai termine fu mai più adatto poiché spesso non ci si rende conto di negare nel proprio assunto ciò che si sta affermando. E se invece esiste consapevolezza, allora siamo in presenza di malafede. 

Turba perciò, prima la logica e l’estetica che l’etica stessa, leggere affermazioni quali “quelli che odiano e che predicano la violenza non sono degni di vivere: li metterei al muro”, che potrebbero far sorridere solo se fossero un ironico tentativo di commettere suicidio. E che ricordano, ma senza la sagacia e la provocazione, le vecchie affermazioni paradossali come "Afferma Tullio il cretese che tutti i cretesi mentono". 

Eppure queste follie razionali si moltiplicano, specie in questo post atomico elettorale. Che i delusi del voto tendano non solo ad indignarsi contro tutti coloro che non hanno seguito le loro indicazioni, così intelligenti, posso solo comprenderlo, anche se mi sembra lo fogo di una frustrazione che ha radici in una presunta superiorità antropologica.
Ma che lo facciano negando le basi del ragionamento sillogistico,  provoca pericolosi sussulti anche a me oltre che al buon Aristotele.

Ecco alcuni esempi per i quali non è importante il contenuto, ma solo la struttura del pensiero, che si auto-nega, mostrando solo una profonda ignoranza pari alla presunzione e alla arroganza di chi vuole costringere schiaffeggiando gli altri. Ti picchio e poi ti accuso di volermi picchiare insomma.

Capita così di sentirsi apostrofare che “Dio non esiste, e se anche esistesse non sarebbe certo quello che tu affermi”, affermazione peraltro legittima (e liberamente ispirata da fatti veramente accadutimi in rete) am anche un po' apodittica e perentortia, 
Anche questi aggettivi leciti, non fosse che all’incauto che ribadisce le proprie posizione, si replica con perentorietà: “io dialogo con tutti i cattolici tranne quelli ottusi che pretendono di avere la verità”.  Frase che decodificata vuol dire che dialogo con tutti quei cattolici che  sono così pavidi e annacquati da non avere il coraggio di difendere il core message del fondatore: “io sono la via, la verità e la vita”, fuori da me non c’è verità.

Peraltro chiunque fa una affermazione, fosse anche 2+2=4 o mi piace la pasta al pomodoro generalmente tende a possedere quella verità, e se afferma qualche cosa che imponga e si basi su una fede dovrebbe appunto crederci, quindi presumere di avere la verità vera in mano.

Altrimenti potrebbe fare sua quella famosa battuta di Woody Allen
Credo in Dio? Non proprio. Diciamo che lo stimo”.

Ma non son qui per parlare di fede, quanto per mostrare terrorizzato stupore per questa continua dissacrante incapacità di superare il luogo comune, la frase ben detta, per coglierne –forse spremerne- il senso. Così provo sdegno e angoscia di fronte a chi per ragioni politiche twitta “non solo le loro idee a farmi paura, ma le facce di chi le rappresenta”, che potrebbe essere una arguta affermazione, non fosse che chi l’ha rilanciata si dichiara cattolico, cioè fedele di quella religione che suole affermare che bisogna perseguire l’errore e non l’errante, che Cristo ha sparso il proprio sangue per tutti –belli e brutti,  eleganti e cafoni- e che non ci è consentito giudicare persone ma solo fatti. Vale a dire che quindi dovremmo affermare “non mi spaventano le loro facce, dato che devo amare ciascuno come fratellio, quanto aborro le idee che proclamano”.

Invito caldamente quindi ad un rinnovato impegno in difesa delle regole di base della lingua, della grammatica, della logica. Temo peraltro che quel terrore  che si spalancava negli occhi fumiganti di Nanni Moretti quando schiaffeggiava la giornalista sciacquetta in Palombella Rossa fosse giustificato. “Le parole sono importanti” urlava, poiché è con esse che formuliamo i pensieri. L’aver sfarinato la lingua, sostituendola con il linguaggio di quelli che definiscono –absit injuria verbis- bimbiminkia kostruito kn sigle abrvzn tvtb disegnini <3 e minacce kk kzz vuoi? abbia finito per ridurci a bruti incapaci di seguir virtude e conoscenza?

giovedì 14 marzo 2013

Un premio tira l'altro


Leggo e stupisco: un premio per me?
E' un premio speciale e me lo conferisce Mogliemammadonna che di per sé è già tutto un programma.
Va bene, non è l'Oscar e neppure un Nobel, e se vogliamo neanche lo Strega o il Campiello, ma vuoi mettere quanto alimenta la vanità?
E poi il premio mi è stato assegnato così
Paolo, uno dei pochi uomini-blogger che leggo - http://dellegioieedellepene.blogspot.it/
Capisci che poi uno inizia a gongolare...
Che poi sia simile ad una catena -premia altri sette blog- lo rende più simpatico e vero, perché alla fine il premio più gradito è quello di chi ti fa un sorriso, ti batte una mano sulla spalla, ti dice la parola giusta, perché ti fa andare avanti con quella gioia dentro che non tramonta mai.

E' un premio con regole precise che vanno seguite con rigore.

Le copio dal blog di MMD e le aggiorno con i miei dati.


Dunque, le regole sono queste:
 1. Copiare il premio in un post - fatto
 2. Ringraziare la persona che ti ha nominato - fatto
 3. Raccontare sette cose di sé - le trovate qui sotto
 4. Assegnare il premio ad altri sette blogger e farglielo sapere con un commento - idem, guardate in fondo


7 cose di me
1. Sono espressivo, o influenzatore, secondo il modello DISC il che comporta che combatto quotidianamente contro la vanità. E qualche volta perdo. Sono anche un po' amabile (o stabile sempre secondo DISC) e questo è guaio forse anche peggiore. Ma ci convivo.
2. Sono cattolico tradizionalista, figlio di san JoséMaria. Chiariamolo subito onde evitare malintesi. 
3. Ho una famiglia deliziosa: una moglie che tutti vorrebbero, ma è mia, e tre figli dai 27 ai 21 anni che se avessi voluto dipingerli l'avrei fatto così. Se non volete credervi è un problema vostro. 
4. Ho fiducia nel futuro. Talvolta troppa. Ma ho sperimentato che la Provvidenza non solo c'è, ma è sempre molto creativa e generosa. E materna.
5. Ho un sacco di amici che sanno farmi stare bene, alcuni mi hanno tradito, ma chissà quanti ne ho traditi io senza saperlo.
6. Mi piace viaggiare, leggere, scrivere. Avete mica del tempo da regalarmi per fare tutto questo?
7. Se mi chiedono che lavoro faccio mi piace -vedi punto uno- dire che vivo d'espedienti, perché oggi fare il consulente è poi questo, cercare di convincere altri, in genere imprenditori, che puoi dare loro una spinta per farli andare con più energia, e a volte coraggio, verso il successo. 

7 beautiful blogger
Qui viene in difficile perché sceglierne solo sette è un po' complesso. Se considero che nell'ambito del marketing darei il premio ad almeno dieci di loro... quindi decido che resto in questo mondo di panna montata, che è una citazione e non una presa in giro, e assegno il premio a quei blog che parlano un po' di casa e un po' di famiglia, un po' di se stessi e un po' del mondo intorno. Un po' di verità e un po' di dolcezza. E tengo fuori il blog di CostanzaMiriano per due motivi: uno, ci scrivo anche io e fa tanto conflitto di interessi; due, non ne ha proprio bisogno di premi e pubblicità.

I miei vincitori sono quindi:


Don Fabio e la sua fontana che non si prosciuga mai - 

Caterina Milanesio e il suo blog musicale sulla scuola 

Wondermamma e le sue figlie: la mamma che ama fino al sacrificio

La professoressa che insegna ai professori

Una eccezione al webmarketing: perché il camaleonte sa accendersi di tutti i colori 

Il prof che parla ai ragazzi e ne conquista i cuori

A vantaggio dei genitori: per vincere la sfida educativa e aiutare i figli a crescere felici. Preparare i figli per il cammino e non il cammino per i figli

Li affido a voi, buona lettura!




martedì 5 marzo 2013

Il senso civico senza radici




Si discute. A margine di un corso. Anche durante. Si scivola. Sulla pubblica amministrazione. Sui sindacati. Sugli italiani.
Ci si lamenta.
Si generalizza.
Poi eccolo: ineluttabile, come il tramonto, come la morte, arriva lui. Il principe di tutti gli argomenti.
Non abbiamo più senso civico! Non l’abbiamo mai avuto!
Ennò che non ce l’abbiamo. Che non ci fermiamo ai passaggi pedonali, che cerchiamo di fregare sempre alle code, che il rosso è un’opinione e la prima corsia in autostrada la occupano solo gli indignati incapaci di guidare (quelli col cappello per intenderci). Siamo il popolo, l’ho già detto ma mi piace ripetermi, che sfaretta per avvisare l’automobilista indisciplinato che corre ben oltre il limite che dietro la curva ci sono i carabinieri. E poi si indigna per i pirati della strada che guidano ubriachi e fanno vittime.
Perché?
Perché succede questo?
Non lo so o non lo voglio dire, ma mi pare proprio che se non riscopriamo un senso comune della vita il senso civico non può esistere.
Che cosa vuol dire “civico”? Appartenente alla città. Al borgo. Al nucleo forte di persone che ha un medesimo obiettivo che cura come il dono più prezioso che ha.
E che sa costa fatica e sacrifici perché va coltivato tanto nel e per gli altri quanto per sé e in sé.
Tutto il contrario di chi per cambiare l’uomo vuole cambiare le strutture o la società.
È l’esatto contrario che va fatto: cambiare l’uomo per modificare la società. Il contrario non regge: al centro c’è il cuore dell’uomo, non la cultura o il senso civico o la burocrazia.
Ed è molto difficile pensare di essere concittadini, persino fratelli, se non perché si ha un Padre comune. Un Padre che ci dà regole e percorsi per essere felici.
Certo che se vogliamo fare di testa nostra, come per montare un castello con il Lego quello però della vita come racconta Andrea Torquato Giovanoli, la mia testa vale a tua e il mio vantaggio più del tuo… abbiamo tutti senso civico, perché alla fine abbiamoc ostruito città popolate da un solo individuo: me stesso. 

domenica 3 marzo 2013

Zio Zuckenberg & me




Chiariamo:ognuno usa in social network come vuole. 
E ci mancherebbe pure. Non sono stati pensati per un uso monolitico e meccanico. Al massimo saranno i risultati a spiegarci che stiamo facendo errori.  Perché nessuno ci si fila o ci abbandonano al nostro destino.

Libero quindi ognuno di vivere Twitter, Linkedin, G+, Facebook, Pinterest, YouTube et alia come crede.

Però poi dopo non venire a farmi le pulci perché non lo sto usando come dici tu, beh, ammettiamolo: come minimo irrita un tantinello.

Non che non capiti. Anche a me e scappato di dire: aspetta che spiego i meccanismi di questo social network, un pochino forse ci sta anche, ma se la metti là come suggerimento, come interpretazione. Non come diktat! Per quelli basta e avanza la Merkel.

Dunque onde fare outing e chiarire il mio pensiero, scrivo queste righe –poche. Spero. Dubito.- per chiarire senza possibilità di malinteso, come uso io la rete.

E perché quindi trovo seccante sentirmi criticare perché ho oltre 3000 FBmici e più di 5700 twitter followers. Perché non posso dedicare loro tutta l’attenzione che meritano.
Chiariamo: tutta l’attenzione che meritano io la dedico SOLO alla mia famiglia, in primis, e ai miei amici a seguire. Poi, per cerchi concentrici, dedico quello che posso, che la carità ispira, a tutti. Ma con priorità determinate. Perché il tempo è una risorsa limitata e le energie pure. E mia moglie e i miei figli vengono sicuramente primi, secondi solo dopo Dio.

Sono espressivo, secondo il sistema DISC, vale a dire una tipologie I, che sta per Influence, Influenzatore.

Mi piace poter condividere le mie idee, che spesso trovo geniali (attenti: sto scherzando! Ma non troppo) con gli altri. Mi piace avere un pubblico che ascolti, commenti, reagisca, provochi.
Come provoco io.

Adoro tutto questo. E lo conosco come limite, come tentazione da combattere centimetro dopo centimetro.

In questi post trovate come a volte manipolo Facebook, –sì, adesso: che io manipoli è una grande presunzione- per divertimento e per produrre conoscenza specie a me, (secondo post, terzo post) e come la penso su Twitter e come lo uso. E qui, a scanso d’equivoci, come la penso sulla vita .

E questo non mi impedisce di trovare il tempo per dedicarmi a molti degli amici che ho presso quei social media: perché Facebook  per me non è solo laboratorio di sociologia, ma anche piazza dove metterci la faccia e dove mostrare quel che credo e valgo e dove condividere con altri i contenuti che creo altrove (in questo blog per esempio) così da stabilire un dialogo sempre più wiki –cioè di condivisione gratuita- con gli altri.
Ma è anche una occasione per ritrovare amici lontani, che hanno condiviso con me vita reale, magari proprio grazie ad un primo contatto qui. Ad esempio è stato grazie alla rete che ho conosciuto di persona Costanza e Guido, don Fabio e Trentamenouno, Susanna e Andrea, Andrea Torquato e Giovanni, ed è grazie a Facebook che ho ritrovato conoscenze del tempo del liceo, amici delle medie - vero Marco? Vero Maurizio? Vero Valeria? Vero Rossana?- e persino la mia signora maestra delle elementari. Anzi: in un certo qual modo di maestre ne ho ritrovate due!

Facebook e i social per me sono anche opportunità di lavoro per cui è doveroso avere molti amici e followers, per sfruttare la viralità e moltiplicare i messaggi.
Per cui se giudichi gli strumenti sono con il tuo metro, che consiste nel curare pochi amici per stabilire legami, beh capisco che io ti sembro un imbecille. Ma ti sbagli di grosso. Non uso la rete per tessere relazioni spesse e sostanziose. Semmai per conservarle.
Facebook per me è come un bar, una piazza: passi, vedi chi trovi, lo saluti, scambi due parole, sali in piedi sullo scatolone nellangolo e declami, qualcuno ti ascolta, qualcuno ti manda a stendere. Avete presente la Locanda del Puledro Impennato a Brea? Ecco una cosa del genere: si chiacchiera, si canta, si condivide, si sta insieme per qualche birra.

Di certo so a che cosa non mi servirà la rete, e non per merito mio ma perché c’ho una bella assicurazione grazie ai santi e angeli che mi stanno vicino e mi tirano per i capelli: per trovare occasioni che mi allontanino dalla mia famiglia.

Se dovessi anche solo annusare il pericolo ho sant’Espedito pronto a farmi saltare il computer,  la connessione, l’account e tutto il resto.


Guarda un po', frugando ho trovato altri due post su Facebook e me
magari interessano.
Let's Facebook! Ossia sconfiggere le maldicenze in rete
Facebookiamoci 2 la vendetta